Immagine rubatissima

Gli Xiu Xiu hanno ucciso Laura Palmer

Giuseppe Schiavone
6 min readFeb 14, 2017

11 dicembre 2016. 15 giorni fa la mia morosa mi ha lasciato. Da allora ho un progetto che consta di due attività:

- tinderate (#tinderare andarci sotto) pazze e disperatissime che portano al niente e;

- uscite ossessive nel tentativo di recuperare 6 anni di deliberata auto-esclusione dalla vita sociale della mia città (la grande Milano).

Questo progetto, per ora fallimentare, mi ha convinto ad accettare l’invito di un mio amico — lo chiameremo Bruno, perché è un po’ bear — a vedere il concerto degli Xiu Xiu che suonano i pezzi della colonna sonora originale di Twin Peaks al Serraglio. Un evento al quale, di norma, avrei risposto con un maiuscolo “MA CERTAMENTE” seguito da questa gif.

“MA CERTAMENTE”

In tutta onestà non avevo idea di chi fossero gli Xiu Xiu (si legge sciù sciù, garantisce amico cinese di Bruno). Avevo vaghissimi ricordi di una copertina del Mucchio Selvaggio di seimila anni fa che rimandava probabilmente a un’intervista che non avevo poi mai letto. (Ho provato a recuperare il numero della rivista, ma su Google non c’è stato verso e tutte le uscite settimanali accumulate in tre anni di abbonamento sono rimaste nella casa della mia ex quando me ne sono andato). Il grosso della motivazione che mi ha aiutato a mettermi le scarpe e uscire me l’han data (a) la solitudine e (b) Lynch.

Metafora della mia vita, siamo arrivati di fronte al Serraglio (l’ignota via Gualdo Priorato, che in realtà è vicino alla Balera dell’Ortica) alle otto e ci hanno aperto dopo mezz’ora passata al gelo per strada a immaginare di poter parcheggiare la macchina in casa salendo dalle scale in uno dei palazzi di fronte (simil-compound industriale da far riqualificare a team di architetti hip amici seguendo l’ispirazione del loft di Jerry Calà in Vado a vivere da solo).

Vado a vivere da solo, il film che ci ha regalato, tra le altre cose, questa gag sul cesso che fa suonare un juke box quando stai cagando

In coda con noi, nella nebbia bagnata, un poser appena maggiorenne così annegato nella sua poserata che non si è tolto le cuffie (enormi, bianche, credo delle Skullcandy) neanche per rispondere quando gli han chiesto se aveva già la tessera e una coppia di trentenni che, in esplorazione ci è passata davanti e poi ci ha chiesto scusa. Scuse alle quali ho risposto sorridendo “figurati, avevo già chiamato il Gabibbo”.

Ore 20:30: archiviata la solita trafila un pochino truffaldina del tesseramento all’ennesima cooperativa (l’ACSI gestisce lo spazio qui), pagati i suoi bei 20 euro e bevuta la mia acquetta frizzante è iniziata l’attesa (90 infiniti minuti di compilation di Joy division, Depeche mode e Cure).

Twin peaks e Lynch in genere mi han sempre fatto un po’ cagare sotto. Non ho mai capito bene perché finché qualcuno non mi ha linkato questo articolo di David Foster Wallace del ’96. Nel pezzo DFW dice che con ‘lynchano’ intendiamo “un particolare tipo di ironia in cui qualcosa di molto macabro si mescola a qualcosa di molto banale in un modo che rivela l’eterna ricomprensione del primo nel secondo”. In soldoni una roba è ‘lynchana’ se ti fa cagare sotto proprio perché è banale. In molti casi, soprattutto in Twin Peaks, questa tensione tra macabro e banale era tenuta in piedi proprio dalla discrasia tra colonna sonora e scene. Per questo, nell’ora e mezza di assessment della fauna e caldo senza senso, mi son venuti dei dubbi sul fatto che i pezzi riarrangiati potessero rendere merito a questo blend che fa ridere, ma anche paura.

Invece è stato un concerto della madonna.

È salita per prima sul palco una delle due asiatiche, Angela Seo (a tempo perso ninja del marketing online), a pinzare una di quelle torce cinesi da lettura sopra degli spartiti su una tastiera. Poi ha fatto partire un beat in sequenza e se n’è andata. Dopo tre minuti di questo pumpum di cui non ho capito se la frequenza cresceva sono risaliti sul palco tutti e tre e hanno iniziato a suonare. Lui, che Wikipedia dice si chiama Jamie Stewart, sembra un po’ Mitt Romney a una grigliata autunnale e un po’ Kyle MacLachlan (Dale Cooper, l’agente dell’FBI imbrillantinato che arriva a indagare e a bere caffè a Twin Peaks) con addosso una t-shirt di Dylan di Beverly Hills 90210, però nera. Suona la chitarra, un synth e in principio la batteria (male, mi viene da dire). Shayna Dunkelman, quella alle percussioni (vibrafono e batteria ed estemporaneamente al synth), è la versione carismatica e pacificata di una cameriera bellissima che lavora da Amico Sushi in via Piacenza (ti amo, hermosa, e lo so che il dolore che hai dentro lo guariremo insieme!).

Iniziano a suonare Laura Palmer’s Theme direttamente sul beat in sequenza. E a parte la batteria del tipo, pestata male sui piatti, proprio per fare male, le piccole aperture oblique della canzone sono già la sintesi minima del ‘lynchano’ declinato sulla sola traccia audio (detto questo c’è tutta una componente scenica della performance che aumenta le possibilità espressive della musica).

Into The Night parte come un pezzo di un film di Dario Argento e poi diventa Nick Cave e un po’ di Wilco preso male, ma con su la voce di Mario Merola che piange perché gli han fatto lo stereo della macchina. Il vibrafono in Audrey’s Dance è il suono che fa il campanello quando ti stai facendo la doccia e ti devono notificare una cartella di Equitalia con su i divieti di sosta del 2008. Packard’s Vibration è un primo indizio di come userà la sua Gibson SG Mitt Romney.

Nightsea Wind sembra Motion Picture Soundtrack dei Radiohead riregistrata dieci volte su cassetta e poi messa dentro un mangianastri che va alla velocità sbagliata.

Quando la percussionista mette le mani sulle bacchette su Blue Frank-Pink Room vedo questa dea senza tempo che legna come un fabbro senza provare alcuna fatica. Lei sorride all’altra e si sistema i capelli. Ci sarebbe da sciogliersi. Non fosse che, raggiunti 36 gradi, qualcuno del posto accende a mano l’aria condizionata. Improvvisamente è inverno dentro di me e nel sudore sulla mia schiena.

In Sycamore Tree la recitazione di lui fa il grosso, assieme a questo piano creepy suonato come di traverso. Harold’s theme è il rumore di un fiume con l’acqua mezza ghiacciata con queste lame di sintetizzatore che attraversano e spettinano la melodia.

Dentro Dance of the Dream ci sono le infinite sfumature, le cadenze e i ritmi di una conversazione tra il commercialista e tuo nonno. E poi c’è Falling, il pezzo della sigla iniziale, sopra il quale è impossibile non vedere lo spot della pro loco che era la sigla, l’uccellino: il fumo, la segheria, la cascata e il senso di disagio e perturbazione (l’Unheimlich, dicono quelli studiati). Love Theme Farewell evoca la deformità di qualunque amore, dei suoi segreti, delle sue piccolezze e della sua micragna emotiva.

In chiusura, Shayna Dunkelman legge il diario di Laura su Josie’s Past, rivelando il finale della serie senza nemmeno mettere un disclaimerino “SPOILER ALERT”.

Durante il concerto i tre hanno suonato venti strumenti diversi, alcuni per anche solo 10 secondi: dalle maracas a due bastoni di legno picchiati uno sull’altro, alle campanelle, fino a questi due diversi fischietti tipo per il richiamo degli uccelli che a momenti fan partire l’orecchio al mio amico Bruno (dal canto suo ipocondriaco).

12 pezzi, l’intero disco, tutti di fila, senza interruzioni e spiegoni. Neanche un bis.

Per me, come Lipton, “numero uno”.

Setlist

- Laura Palmer’s Theme

- Into The Night

- Audrey’s Dance

- Packard’s Vibration

- Nightsea Wind

- Blue Frank-Pink Room

- Sycamore Tree

- Harold’s Theme

- Dance of the Dream Man

- Falling

- Love Theme Farewell

- Josie’s Past

I bis sono per i babbi.

--

--